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15.04.2024

Desidero comporre anche io qualche riga di commiato e di cordoglio per la morte di Grazia Marchianò, filosofa orientalista ed estetologa, curatrice dell’opera omnia (Marsilio) di Elémire Zolla che è stato suo marito. Desidero comporle sia come amico sia come direttore dell’Accademia di Belle Arti di Urbino. Grazia è stata familiare, ed anche affezionata, all’Accademia di Belle Arti negli anni in cui sono stato professore di Estetica.

 

Era davvero una maestra (anche se uno dei più alti moniti di uno dei più grandi testi mai composti al mondo esorta a non chiamare “maestro” nessuno e a considerare “fratelli” tutti ) di sapienza interculturale, occidentale-orientale. Disseminata nella sua opera di studiosa, di traduttrice, ed infine, di curatrice delle opere di Zolla, è una moltitudine di spore luminose e di perle di verità. Personalmente affascinato, prima come studioso (poi anche come amico), dalla sua vasta conoscenza, ho desiderato offrire ai miei studenti di allora due incontri con Grazia Marchianò, in tempi diversi, entrambi sui significati dell’azione creativa nella filosofia estremorientale, e sulla via della conoscenza che a essa porta dal punto di vista comparativo e degli “orienti del pensiero”, come lei diceva.

 

Grazia aveva il dono della narrativa nelle parole, ma anche della dialettica e della logica ferree quali sono richieste da un pensiero come quello estremorientale, buddista e zen, o come quello della filosofia di Hegel e dell’Idealismo tedesco. Grazia era bella, in un senso non scontato del termine: esercitava un fascino particolarssimo, carismatico, misto di alterità e compassione; i suoi occhi attivissimi, forti, partecipi, erano immedesimati e fluttuanti nella concretezza umana e nell’altrove. 

 

“Dove il cielo sia non domandare, esci da te stesso, /Altrimenti, dove sei, ti sarà ostile e distante il cielo”, recita il distico di un autore caro a lei e a Elémire Zolla. Donna saldissima e ‘ascetica’, come ha scritto Silvia Ronchey su “Repubblica”, capace di pensieri e moti d’affetto generosi verso gli ultimi amici incontrati nel cammino dell’esistere, come ero io, la Marchianò è stata una personalità che ha aperto brecce teoretiche e spirituali inimmaginabili, insegnando il gusto delle tradizioni che consuonano nelle pulsioni dell’anima universale.

 

Le lezioni che offrì agli studenti del mio corso di Estetica destarono entusiasmo, e suscitarono anche commozione nei più sensibili. Le facemmo a Palazzo Odasi quando non era ancora sede del Corso di Nuove Tecnologie dell’Arte, ma era sede della Casa della Poesia. Ricordo gli studenti assembrati e ammonticchiati, seduti per terra anche, dentro i piccoli spazi o nella grande aula sotterranea. Ed anche loro rammenteranno (se qualcuno di essi avrà occasione di leggere questo mio ricordo personale), l’emozione e la risonanza del suo Logos nell’intera nostra persona senziente, non solo nella ragione. Ma ora non voglio immobilizzarla nel sentimento di un carattere del passato, ma liberarla secondo la spiritualità che ha osservato come modello sovrano di vita e non solo di vita estetica. Tale spiritualità era da Zolla così definita: essa predica “L’affrancamento dalla fascinazione delle novità [...] insegna a non farsi né ipnotizzare né turbare ma anzi a tenere lo sguardo al valore massimo: la qualità spirituale della vita, breve o prolungata che possa essere”.

 

Luca Cesari

 

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